La selva centrale peruviana, una meraviglia imperdibile

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Quando un luogo ti colpisce in una maniera così profonda e completa è persino difficile descrivere a parole le emozioni e le sensazioni provate. Certe esperienze bisogna viverle per poterle capire e godere appieno.

Da quando vivo in Perù, ogni viaggio è stato una scoperta, un’avventura bellissima. Il viaggio nella selva centrale per me ha però rappresentato finora la punta massima di splendore. Un’avventura organizzata all’ultimo momento grazie alle dritte date a Mariana, mia compagna di avventura e mente di questo viaggio, da una ragazza che vi era stata precedentemente, per un luogo, Chanchamayo, che non è ancora molto conosciuto e battuto dal turismo di massa.

Io e Mariana siamo partite durante la notte alla volta de La Merced, un ridente paesino accogliente nel bel mezzo della selva centrale, per tre giorni ,con in mano solo i biglietti del pullman e la prenotazione dell’hotel. Arrivate lì verso le h 7,30 del mattino dovevamo ancora organizzare le nostre tre giornate, ma per questo non abbiamo avuto nessun problema. Appena arrivate siamo state immediatamente circondante dalle varie agenzie, che tramite i loro dipendenti girano per il paese dall’alba al tramonto per convincere i turisti a scegliere proprio la loro azienda. Siamo state fortunatissime e per puro caso abbiamo scelto l’agenzia migliore che potessimo trovare, con persone squisite e competenti e prezzi super convenienti, l’agenzia Antamy Tours.

Il primo giorno abbiamo fatto, insieme ad un’altra decina di persone il Tour Perenè. Un tour completo che ti da la possibilità in una sola giornata di avere un’idea generale della selva, di quello che può offrire e delle sue particolarità: dalla degustazione del famoso e buonissimo caffè della zona, alla sosta per osservare “el perfil del nativo dormido” (una montagna cha ha la forma del profilo di un uomo), dalla visita alla comunità nativa di Marankiari, alla Catarata de Bayoz, una cascata di più di 40 metri d’altezza, dove abbiamo potuto ammirare la sua bellezza e approfittare delle sue acque per fare un bel bagno rinfrescante.

Il secondo e terzo giorno sono stati però sicuramente i migliori. Abbiamo fatto i tour successivi da sole con la nostra guida, che per tutti e tre i giorni è stata Alfredo. Alfredo, che appartiene alla comunità nativa di Pampa Michi, è stato fantastico. Ci ha guidato con pazienza ed entusiasmo nella “vera” selva, facendoci letteralmente immergere in un’atmosfera magica, fatta solo di natura, cultura e storia. Ci ha mostrato e spiegato una per una le piante, i frutti e gli animali che man mano incontravamo, molto spesso senza nemmeno bisogno che gli facessimo domande , ma anche quando, acquisita un po’ di confidenza in più, l’abbiamo sommerso di domande, lui ci ha sempre raccontato tutto con reale passione. Ci ha anche raccontato un po’ della sua interessantissima e non facile vita. Ora vive a La Merced e il suo sogno è quello di creare una sorta di hotel ecologico, con bungalows, piscina e cascate immerso nella natura, di fronte all’ingresso della sua comunità nativa. Alfredo ha uno spirito combattivo, non si arrende di fronte alle difficoltà e guarda sempre avanti.

Il secondo giorno abbiamo fatto il Tour Las Reynas, dove, dopo aver attraversato il Ponte Kimiri e camminato per una mezz’oretta siamo arrivati all’interno della selva. Da lì ha avuto inizio la nostra vera avventura: abbiamo affrontato un percorso in acqua di una bellezza sconvolgente. Camminando lungo il torrente ci siamo trovati di volta in volta di fronte a cascate sempre più alte e con correnti sempre più forti, le abbiamo scalate quasi tutte armate di guanti e corda, sempre sotto l’attenta supervisione di Alfredo che ogni tanto, di fronte alle nostre cadute e alle nostre titubanze, non riusciva a trattenere le risate.

La selva centrale peruviana

Abbiamo scalato anche una parete, ci siamo fatte massaggiare dalle piscine naturali che si creavano alla base delle cascate e mi sono lasciata trasportare dalla corrente di una cascata tuffandomi fin giù. Ad un certo punto siamo arrivati di fronte ad una cascata decisamente troppo alta per noi povere principianti e siamo tornati indietro. Alfredo è rimasto un po’ deluso, credeva in noi e nelle nostre possibilità, ma noi abbiamo deciso di non rischiare la pelle! Da lì, cambiando un po’ l’itinerario del tour, abbiamo fatto visita al mariposario (mariposa in spagnolo significa farfalla) che in più ha una sorta di ricovero per animali. Gli animali trovati nella la selva che non stanno bene, lì hanno la possibilità di rimettersi in sesto per poi riprendere la loro vita in libertà: tra gli altri c’erano uccelli di vari tipi, scimmie, serpenti, coccodrilli e lo zamaño. Lo zamaño avremmo voluto non vederlo; sotto gentile indicazione di Alfredo, era stato il nostro pranzo del giorno precedente e solo lì abbiamo scoperto che lo zamaño fa parte della famiglia dei roditori…lascio a voi immaginare le nostre facce!

Durante il terzo e ultimo giorno abbiamo visitato la comunità nativa asháninka Pampa Michi alla quale appartiene Alfredo. Una comunità che vive di turismo e si dedica ancora alla caccia e alla pesca con arco e frecce. Una comunità che ti accoglie a braccia aperte, ti offe i suoi vestiti tradizionali (cushmas) e ti fa vivere per un po’ come se facessi anche tu parte di quella comunità. Con Alfredo e Alejandro (chiamato scherzosamente “gringo” da Alfredo per la sua carnagione chiara), un timido ragazzo apprendista guida che ci ha accompagnato durante il terzo giorno, abbiamo poi affrontato un percorso di tre ore immergendoci negli immensi terreni delle comunità. Lungo il percorso, passando proprio tra i terreni di Alfredo, abbiamo assaporato direttamente dagli alberi arance, mandarini, cacao e raccolto della yuca che Mariana, fanatica di piante, si è portata a casa! Accompagnati da un caldo quasi insopportabile, abbiamo scalato un monte con un sentiero non proprio tracciato, dove a farla da padrone era il fango, visto la pioggia della notte precedente, che rendeva il tutto ancora più difficile. Diverse volte ho corso il rischio di rotolare giù e dover iniziare tutto dall’inizio, ma anche grazie ad un provvidenziale bastone di yuca che mi ha aiutata durante il cammino, sono arrivata fin alla meta con grande soddisfazione. Inutile sottolineare la bellezza del panorama che ci ha accolti una volta arrivati in cima: un vero incanto.

Alla fine di questo viaggio mi sono portata a casa dei ricordi fantastici e indimenticabili, qualche puntura di mosquitos e innumerevoli tagli nelle gambe (dovuti a degli shorts non proprio adatti per camminare nel bel mezzo della selva dove ci sono piante che si attaccano alla tua pelle e quando si staccano ti lasciano dei tagli non proprio simpatici), delle foto esilaranti, un sorriso perenne che si forma sul mio viso ogni volta che ripenso a questa straorinaria avventura e la voglia matta di riandare e continuare l’esplorazione proprio lì, magari tra cinque anni così come promesso, quando Alfredo, se va tutto secondo i piani, avrà finito i suoi lavori e ci potrà ospitare nei suoi bungalows.

Pasonki Chanchamayo e pasonki Alfredo!

Lingue Moderne per la Comunicazione e la Cooperazione Internazionale. Università degli Studi di Cagliari